Thursday, June 07, 2007

Per non dimenticare Grete Weil, scrittrice tedesca d’origine ebraica che non si sentiva ebrea

Per non dimenticare e nella speranza che tutto questo non sia successo invano.
Grete Weil, scrittrice tedesca d’origine ebraica che non si sentiva ebrea:
Il prezzo della sposa

Grete Weil è una scrittrice tedesca, d'origine ebraica, del secolo scorso appartenente all’alta borghesia. I suoi nonni erano ebrei, greci di origine.
Ha vissuto un’infanzia felice in Baviera e, poi, il dramma inaspettato della persecuzione e della deportazione, insieme al marito, ad Auschwtiz, durante il periodo nazista.
Gli ebrei sono diffidenti e pessimisti, ma non potevano mai immaginare il proprio sterminio.
Si è salvata ed è rimasta viva, ma segnata per sempre.
Quei ricordi si ripresenteranno alla mente come un terribile incubo per tutta la vita.
Si sente tedesca, non ebrea, come la sua cultura, non professa la religione ebraica per convinzione, recita da piccola solo delle preghiere in una lingua sconosciuta meccanicamente ed anche se a scuola partecipava all’ora di religione ebraica, sogna di Egmont e di Don Carlos.
Dell’ebraismo non sapeva pressoché niente.
Chi vive attraverso gli occhi, come lei, non sa che farsene di una religione che rifiuta l’immagine.
Riportata bruscamente a queste sue lontane origini deve ricercarle, conoscerle: lo fa partendo dalla storia di Davide di cui aveva potuto ammirare due quadri, da giovinetta e da cui era rimasta affascinata.
Da questo spunto fa delle sue considerazioni personali sugli antichi eroi e sulle personalità dei re ebraici.
Li vede come dei prepotenti, dei sanguinari, degli sregolati che nessuna considerazione hanno della vita altrui e, in particolare, delle donne.
Esprime il suo pensiero attraverso Micol, figlia di Saul, una ribelle che non condivide affatto l’idea di uno Jahvè che possa volere guerre, uccisioni, sventure per altri esseri umani, come hanno fatto Saul e David,impostori, che hanno giustificato i loro misfatti col divino volere.
Pertanto è lontana da queste sue radici e vicina, invece, a Davide solo come musicista, poeta e cantore.
Non condivide l’idea di un Dio terribile che giustifica i più atroci delitti per la conquista della terra promessa, lo sterminio d' interi popoli, donne e bambini trucidati troppo vivo è il ricordo di Auschwtiz.
Chi ha vissuto nei campi di concentramento non può giustificare tali atrocità.
Grete narra di una madre a cui i suoi aguzzini nel campo hanno fasciato i seni per non permetterle di allattare la figlia e verificare la capacità di sopravvivenza della neonats.
Non può condividere la mancanza di rispetto e di considerazione della donna, come persona dei tempi biblici..
Una donna, presso quell' antica società, acquista valore solo con la maternità, nulla vale se sterile. E’ considerata merce di scambio, lo sposo deve pagare un prezzo. E’ ammessa la poligamia. Un re può avere diverse mogli e concubine.
Il re Saul dà Micol in sposa a Davide e come terribile ricompensa chiede ed ottiene cento prepuzi di nemici filistei uccisi.
Micol lo sposa, ma non riesce a dimenticare il terribile prezzo pagato, i duecento prepuzi, e a darsi allo sposo la prima notte di nozze.
Gli promette che un giorno riuscirà a dargli un figlio, che sarà cantore e principe portatore di pace; ma il suo desiderio non è condiviso dal marito che spera di avere un figlio cantore e guerriero come lui.
Sono passati tremila anni ed il dramma si ripete, ancora persecuzioni d’uomini per mano di altri, Grete deve scappare dalla Germania assieme al marito perché perseguitata dai nazisti, il tempo è passato invano, nulla ha insegnato la storia,
Lei ha imparato, ora sa di essere ebrea, soltanto ebrea, una da eliminare, l’unica preoccupazione è sopravvivere.
Ma al momento della liberazione da parte degli americani il suo desiderio è di tornare nell’amata Germania; lo fa non senza ostacoli, vuole rivedere un giovane amico tedesco, che, forse, è scampato alla guerra, pur essendo una giovane recluta.
Non odia i tedeschi, si sente nonostante tutto tedesca, è stata anche disprezzata per questo, dagli ebrei americani che non hanno condiviso il suo rientro in Germania, e da altri sol che hanno sentito il suo idioma e che, perciò, senza sapere chi fosse, l’hanno bollata come un’assassina.
Ella non sente di avere nulla in comune con gli ebrei orientali e con quelli occidentali se non la sofferenza, la paura della persecuzione.
Purtroppo, conclude, nulla ha insegnato il muro del pianto, neanche agli ebrei che ancora oggi sono guerrieri, gente in lotta.

Sunday, May 13, 2007

Firdaus storia di una donna egiziana di Nawal al Sa’dawi

Firdaus è un libro scritto da una donna egiziana, che se pur nata in un villaggio lungo le rive del Nilo, si è laureata in medicina e psichiatria negli anni cinquanta, spinta dal padre. E’ sposata con un uomo che la sostiene e la incoraggia nella sua attività di scrittrice, impegnata nel sociale e nella difesa dei diritti della donna.
L’Egitto è un paese dalle enormi contraddizioni, dove naturalmente diversa è la condizione della donna dei villaggi, rispetto a quella della grande metropoli ,il Cairo, come pure dell’alta borghesia rispetto ai ceti meno abbienti.
Lo sfruttamento della donna e la sopraffazione dell’uomo sulla donna è maggiore negli ambienti poveri e degradati, dove l’ignoranza e il fanatismo religioso, nel senso deteriore del termine, fanno da padroni.
Purtroppo è impressionante la miseria e il degrado di gran parte della popolazione che vive anche in grosse città , come Luxor, che nulla ha degli antichi fasti.
Non mi sarei mai aspettato di vedere animali attaccati alle carrozze dei turisti, denutriti e scheletrici, strade del centro non asfaltate, mercati dove si vende droga insieme ad altra mercanzia , nonostante le pene severe, poliziotti corrotti, case mal messe, fogne a cielo aperto.
Le leggi sulla carta esistono, ma restano lettera morta e così anche quelle sulla parità dei sessi, sancita nella costituzione egiziana ,ma non applicata nel diritto di famiglia, non è concesso alla moglie il divorzio, è ammessa la poligamia. Ma in Egitto esiste dal 1928 il diritto dell’ istruzione fino all’università anche per la donna, grazie ad un movimento femminista esistente già in quell’epoca e dal 1958 il diritto di voto, ma gran parte delle donne egiziane sono analfabete e buona parte non votano, non esiste tutela per le donne lavoratrici ed è ancora praticata l’infibulazione .La nostra scrittrice per aver parlato di tale pratica nel libro “La donna ed il sesso” è stata licenziata dal Ministero della Sanità.
L’autrice, per avere denunziato il reale stato della donna egiziana, è stata perseguitata dalle autorità, addirittura è finita in carcere e costretta un periodo all’esilio.
Le sue opere sono state censurate, ha rischiato di vedersi imposto il divorzio dal proprio marito.
Ma proprio quando era in carcere ha conosciuto Firdaus, prima dell’esecuzione capitale per aver levato il coltello al suo magnaccio, che la voleva uccidere, e ferito mortalmente, colpendolo sul collo ed in altre parti del corpo, quindi per legittima difesa, ma evidentemente la legge non è uguale per tutti.
Ella raccoglie la sua testimonianza sui soprusi subiti per mano degli uomini con cui ella è venuta in contatto: il padre riserva a lei, alla madre e ai suoi figli solo gli avanzi di cibo;
lo zio, approfitta sessualmente della nipote pur permettendole di studiare al Cairo e vorrebbe darla in sposa ad un vecchio in cambio di un lauto compenso;
un giovane cameriere diviene suo sposo, ma la maltratta e la rinchiude per evitare che ella possa andare a lavorare;
il giovane collega di cui si innamora l’inganna sposandosi con un’altra donna più ricca;
gli uomini, con cui si prostituisce non la considerano degna di rispetto perché prostituta e la considerano tanto più preziosa quanto più caro è il prezzo che devono pagare per averla fisicamente;
Ma Fridaus considera che è migliore la condizione di una prostituta di alto bordo, quale essa è stata che quelle di una donna sfruttata nella famiglia o di una donna lavoratrice sottopagata e perciò non considerata, ma tutto ciò fino a quando un protettore non prende tutti i suoi guadagni e non la schiavizza.
Ella ha ucciso per legittima difesa e perché preferisce essere giustiziata per affermare la sua dignità di donna che, come tale, non può e non deve accettare soprusi da parte degli altri uomini coalizzati fra di loro.
Ed è con estrema dignità che l’Associazione delle Madri Egiziane nel giugno del 2005 proclamano una giornata di lutto nazionale ed invitano le altre donne a vestirsi di nero per protestare e chiedere le dimissioni del Ministro dell’Interno per i maltrattamenti e gli abusi sessuali

Di Fatema Mernissi L’harem e l’occidente

L’autrice di questo libro è nata in Marocco, a Fez, nel 1940, docente di sociologia presso l’Università di Rabat., nipote di una donna, a suo dire, illetterata, ma intelligente ed autodeterminata, che viveva in un harem.
Con questo libro la scrittrice fa un’ analisi del modo di vedere l’harem da parte degli uomini occidentali e una descrizione di come esso effettivamente è.
Gli occidentali hanno un’idea del tutto erronea, lo immaginano diverso da come è: un luogo di piacere dove le donne sono dedite al sesso e a disposizione dell’uomo detentore.
L’harem è, in realtà,una tradizionale abitazione familiare dalle porte sbarrate,che le donne non sono autorizzate ad aprire.
Rappresenta un luogo di costrizione, abitato da donne intelligenti, apprezzate dall’uomo musulmano per le doti intellettuali, più che per quelle fisiche, determinate a far valere la propria personalità. Esse, talvolta, lottano fra di loro e talaltra si coalizzano, sono delle vere sovversive, che talora non esitano ad uccidere il proprio uomo, quando perdono il potere (molti sultani sono morti per mano di una donna).
Sono curiose, colte e raffinate, attente, desiderano focalizzarsi sugli stranieri che incontrano per comprenderli ,poiché la loro comprensione accresce quella di sè stesse e la loro forza.
L’opportunità di viaggiare, dice Jasmina, la nonna dell’autrice, è un sacro privilegio: la maggiore occasione per lasciarsi dietro la propria debolezza.
La scrittrice ha avuto l’opportunità di farlo.
E’ normale ,dice la nonna, provare panico al momento di attraversare oceani e fiumi.
Quando una donna si decide ad usare le ali, si assume grandi rischi, ella dovrebbe vivere come una nomade, sempre all’erta e pronta a migrare quando è amata, perché l’amore può fagocitarla e divenire la sua prigione.
Le donne dell’harem amano il loro uomo ,ma nutrono rancore verso di lui, perché li rinchiude.
Il tradimento è visto come un atto di sfida e come un superamento del limite della prigione.
La donna è un universo disconosciuto da parte dell’uomo nella sua profondità ed essa ne è fiera e consapevole,a volte è la padrone del gioco, confonde califfi ed imperatori
L’uomo, nel momento stesso che la rinchiude, ne riconosce il suo valore, ha paura di perdere la sua supremazia.
Gli harem sono luoghi densamente popolati ,dove non esiste privacy e tutti controllano tutti, per le donne non vi è gratificazione sessuale, neanche per le sposate, costrette a dividere l’uomo con le altre
Per gli uomini occidentali, Kant, dice l’autrice, il cervello di una donna normale è programmato per un sentire delicato, non deve, perciò, speculare. Il femminile è il bello, il maschile è il sublime, inteso come capacità di elevarsi sopra gli animali.
Diversa è la concezione degli uomini arabi che amano nell’intimità instaurare un dialogo,confrontarsi con le loro donne.
Nell’epoca moderna le donne musulmane hanno guadagnato l’accesso al mare,hanno polverizzato le frontiere dell’harem e hanno ottenuto il diritto allo spazio pubblico.
Velate o no, dice Fatema, siamo per le strade a milioni.
Con l’istruzione pubblica le musulmane hanno riacquistato le ali, gli uomini hanno perso la loro battaglia e gli estremi casi di violenza nelle strade algerine o afgane, contro le donne non velate sono il segno della fine del dispotismo maschile.
Sono una forza imponente civile che lotta per la democrazia e per la parità.
Fatema riscatta la donna musulmana, ma a scapito di quella occidentale che considera, ancora schiava dell’uomo, dimenticando le mille battaglie e le mille conquiste ottenute anche nell’ambito del diritto di famiglia, ancora , per la verità, poco paritario nel mondo musulmano.
Certo le donne sia occidentali, che orientali devono conquistarsi ancora molti spazi soprattutto nella politica, ma è con l’unione, con la cooperazione, con la saggezza e con l’amore che si devono vincere le battaglie per il bene comune dell’umanità tutta.
La donna occidentale , a differenza di quella musulmana, conclude Fatema Mernissi, è schiava dei canoni di bellezza stabiliti dagli uomini, dalla industria della moda,che è in mano maschile, e, se esce fuori da tali canoni,diventa invisibile. Una donna matura e brutta non conta nella società,deve essere bella e giovane, anche se senza cervello non importa.
L’arma dell’uomo contro le donne è il tempo, l’uomo occidentale vela le donne mature,avvolgendole nel chador della bruttezza.
La scrittrice conclude ringraziando Allah per averle risparmiato la tirannia dell’harem dell’attuale taglia 42.

Sunday, May 06, 2007

All’On. Sindaco di Catania Prof.re Umberto Scapagnini Proposta di gemellaggio Catania Lisbona.

Onorevole Sindaco
sono una catanese.
Le scrivo per proporle un gemellaggio fra queste due città d’Europa, Catania e Lisbona, al fine di favorire gli scambi culturali fra di loro.
L’idea mi è sorta dopo che ho effettuato una breve visita a Lisbona nel mese di marzo.
Vi ho trovato un caldo estivo ed il sole quasi abbagliante, proprio come a Catania.
Strade larghe, alberate, a diverse corsie mi portano dall’aeroporto al mio hotel nella parte moderna della città, zona Pombal, piena di negozi, alberghi e parchi.
Il tempo di una rinfrescatina e via a piedi verso il centro storico.
Pensavo di avere qualche difficoltà con la lingua portoghese ed invece le insegne dei negozi , le scritte dei cartelloni e persino i giornali sono per me comprensibilissimi: mi aiuta il mio dialetto, il siciliano.
Lisbona non è una città antica , pochi sono i resti medievali, un grande terremoto l’ ha distrutto nel 1755 ed è stata ricostruita da un marchese illuminato Pombal.
Egli ha curato il piano regolatore con grandi strade parallele fra di loro, quelle laterali dell’oro, dell’argento e dei tessuti, e una centrale che porta alla Piazza del Commercio, dove un tempo sorgeva il Palazzo Reale, che si affacciava lungo la foce del fiume Tago, tanto larga da sembrare mare.
Ha quindi delle analogie con Catania che è stata distrutta da un grande terremoto e dalla lava nel 1693 e ricostruita da un duca illuminato, il Duca di Camastra, che ha ridisegnato la città .
Anche in essa una grande via centrale, via Etnea, che dalla montagna per eccellenza, l’Etna, porta al cuore della città, piazza Duomo, che è anche piazza del Municipio.
I due edifici si affacciavano un tempo sul mare, ma ora ne sono separati mediante i cosiddetti Archi della Marina.
A Lisbona l’antico Duomo si trova nei pressi della Piazza del Commercio, ove era posto un tempo il Palazzo Reale, nella Baixia.
Esse sono due città forti, che, distrutte dalle forze prorompenti della natura, hanno avuto la forza di rinascere, pur essendovi sempre il pericolo imminente di una loro distruzione.
In ambedue la Chiesa cattolica con l’imponenza delle sue costruzioni mostra il suo potere, monasteri e chiese fortificate, che hanno del sacro e del profano.
A Lisbona :
da un lato vi è misticità e pace nei chiostri e nelle belle chiese gotiche, con le loro volte che si slanciano verso il cielo e illuminate dai raggi di sole, filtranti dall’alto;
l’eleganza, la leggerezza e la raffinatezza delle colonne merlettate “stile manuelito” sono testimoni di bellezza e armonia;
dall’altro i racconti della fastosa vita delle colonie, narrati nelle ceramiche ,”azuleios” ,che ornano i muri degli scaloni o dei cortili, testimoniano il lusso, le ricchezze e l’attaccamento alle cose terrene dei membri della chiesa cattolica, pronti a difendere il loro stato con le armi.
Pure a Catania il Duomo è fortificato, come anchel’antico Monastero dei Benedettini, ora sede dell’Università e della Biblioteca Ursino Recupero, dove si conservano preziosi manoscritti.
Quest’è uno dei più grandi di Europa con la sua enorme chiesa, dove l’immenso organo,da poco restaurato ,opera di Del Piano, riempiva di note divine il suo interno.
I colti ed eleganti monaci si portavano dalle loro residenze i cuochi e la loro cucina era ricca, raffinata ed elaborata, essi, poveretti, morivano di gotta per l’eccessivo consumo di carne; le clarisse nelle loro splendide dorate chiese barocche, dietro le grate,intonavano e intonano, ancora oggi canti celestiali.
Infine ambedue le città risentono della cultura araba poiché entrambe sono state anche sotto il dominio arabo, di cui in Lisbona vi è traccia nello stile architettonico portoghese ,“il manuelito”
( che fonde elementi gotici, barocchi ed arabi).
Catania ,all’epoca degli arabi “Qataniah”, anche chiamata “Balad al fil”, cioè città dell’elefante, purtroppo conserva poco dello stile architettonico arabo; un tempo, inoltre, era piena di mulini ad acqua , cosiddette norie, come Lisbona, essendo ambedue ricche di corsi d’acqua, da noi divenuti sotterranei essendo stati sepolti dalla lava.
Il termine noria deriva dall’arabo na-ara.
Tanti altri potrebbero essere i motivi di un gemellaggio culturale ,ma non voglio dilungarmi e vi ringrazio fin d’ora , poiché sono sicura che accoglierete questa mia richiesta che sicuramente sarà condivisa da molti cittadini di entrambe le città

Thursday, April 12, 2007

Turchia II Parte

Viaggio in Turchia II Parte


Lasciata la bella Cappadocia ci rechiamo a Smirne, sull’Egeo una ridente cittadina,il cui nome greco antico era Izmir, in italiano Mirra, pare che nella zona fosse presente l’albero di Mirra. Nelle campagne di questa grande nazione si incontrano grandi campi di fiori spontanei, i papaveri viola, più grandi dei nostri e meno belli: sono quelli da cui si estrae l’ oppio, il cui uso in Turchia è stato vietato negli anni 70.
Quel che ricordo di Smirne sono gli anziani con la barba, che fumano il narghilè, da soli o in gruppo attorno ad un tavolo, seduti nei bar lungo i marciapiedi delle strade del porto, ed uno strombettare improvviso e il vocio festante, provenienti da una fila di macchine scoperte che marciano l’una dietro l’altra con in testa un’auto dove sta in piedi un bambino, vestito di bianco, dall’apparente età di dieci anni, che saluta felice i passanti.
Seguiamo il corteo che si ferma al parcheggio di un ristorante, dove le persone,vestite a festa, entrano, li seguiamo. Il bambino viene portato in una stanza dove vi è un letto grande, viene fatto coricare, gli invitati gli porgono dei doni, egli li riceve felice, poi giunge un medico che lo anestetizza per procedere alla circoncisione e gli astanti vanno a festeggiare al ristorante.
A pochi chilometri da Smirne vi è Efeso,la cui antica città era prima sul mare, visitiamo i resti e camminando per le strade, visitando,l’antico teatro , vedendo la facciata della biblioteca e dell’archivio,il ginnasio, le due porte della città mi sembra di vivere in quel tempo e di sentire le voci degli antichi abitanti . Efeso fu in origine greca, ma la maggior parte dei resti esistenti risalgono all’epoca romana, fu la città di San Paolo e di San Giovanni, che ebbe affidata la Madonna, che sembra essere morta nelle vicinanze dell’antico sito, il luogo è custodito da un monaco al tempo milanese, un uomo alto con una bella barba.Il mio scetticismo mi porta a non credere, ma un senso di pace e di benessere mi pervade, mai ero stata così bene, ma tutto ciò è indescrivibile.

Tuesday, March 06, 2007

Turchia I Parte

Ricordi
Nel secolo scorso, negli anni novanta, mi sono recata in Turchia, proprio quando il governo italiano sconsigliava tale viaggio, per via di un attentato terroristico.
Con me vi erano altri 12 viaggiatori per niente intimoriti e decisi, invece, a visitare questo affascinante paese. Per quanto mi riguarda devo dire che ero felice di fare quel viaggio, curiosa come sono, e sicura che nulla di spiacevole sarebbe accaduto.
Atterrati ad Istanbul siamo stati accolti da due sorridenti uomini, uno più anziano ,l’altro più giovane, che non corrispondevano per niente con la mia idea degli uomini turchi, infatti avevano la carnagione e i capelli chiari.
Erano due ex capitani mercenari, che, fra l’altro, avevano partecipato alla guerra del Vietnam, amici per la pelle, visto che in diverse occasioni l’uno aveva salvato l’altro. Il più giovane, ora insegnante di storia dell’arte, d’improvviso sembrava assentarsi del tutto, erano le conseguenze dello shock subito in Vietnam. Quello più anziano, circa sessant’anni, parlava ben 15 lingue.
Essi ci hanno accompagnato nell’elegante albergo a noi destinato, con vasche d’acqua immerse nel verde dei giardini tipici del medio oriente e con eleganti negozi. Qui mi sentivo al sicuro ed avevo l’idea di poter girare tranquillamente, ma il capitano anziano mi ha richiamato, dicendomi di non allontanarmi dal gruppo.
Istanbul era ed è una grande metropoli in parte antica, in parte moderna, con quartieri ricchi ed evoluti e con altri poveri, con monumenti da mille e una notte che portano a sognare ed immaginare il suo ricco passato.
Lungo le rive del Bosforo vi sono le più fastose ville, che all’esterno non sono così appariscenti.
Il Bosforo divide l’occidente dall’oriente, la faglia, che separa i due continenti, attraversa la città. Instabul è detentrice di una grande cultura, derivante dall’incontro di popoli diversi, che in passato ed anche nel presente la hanno arricchito e continuano a farlo con le loro conoscenze.
A volte si sente parlare della Turchia e dei turchi , come di una nazione e di un popolo che, ancora, fa paura ( mamma li turchi!!). Si dimentica che in essa vi è stata l’antica Troia, la civiltà greca, il grande impero di Bisanzio, poi quello romano di oriente ed in seguito quello ottomano.
Essa è, quindi, una culla della civiltà.
Quanto sfarzo vi è soprattutto nei monumenti antichi, ( un soffitto pieno di diamanti, moschee gigantesche con i marmi più preziosi, cucine immense, smeraldi, rubini, diamanti nel palazzo del sultano). Tutto ciò suscita in me il pensiero della vanità umana, quante bocche si potrebbero sfamare con i diamanti incastonati nel soffitto!
Una città vivace, le donne erano sorridenti ed anche se portavano il fazzoletto in testa, non mi sembravano tanto sottomesse, ho visto una donna dare un ceffone al marito che si è voltato a guardare una delle due insegnanti del gruppo.Esse hanno avuto il diritto di voto negli anni 30 del secolo scorso, prima di quelle italiane,ma il delitto d’onore, è punito sempre con le attenuanti , come quello sulla violenza alle donne. Inoltre il posto in macchina, quello accanto al guidatore era sacro e non poteva essere contaminato da una donna italiana vestita scollata, perciò, considerata di facili costumi.
Una ragazza del gruppo, scherzando col giovane capitano, per ripararsi da un gettito d’acqua, ha pensato di entrare nella macchina di uno sconosciuto e di sedersi nel sedile davanti, il capitano si è messo le mani ai capelli e le ha intimato di uscire immediatamente, perché, se fosse sopravvenuto il proprietario, avrebbe preteso il pagamento del sedile nuovo in quanto la moglie non poteva più sedersi nel sedile così contaminato. Comunque grande differenza vi era tra la condizione delle cittadine e quella delle campagnole. Comunque lasciata l’affascinante Costantinopoli abbiamo visitato un antico caravanserraglio, ed immagino gli antichi viaggiatori con i loro bei cavali dal pelo lucente e le carovane che vi trovavano riparo. Quindi siamo andati verso la nuova capitale, Ankara ,la città della lana d’angora nell’Anatolia, che abbiamo attraversato velocemente. Da uno sguardo così veloce non mi ha particolarmente colpita, sicuramente non ha il fascino di Costantinopoli. Ci dirigiamo verso la Cappadocia, una regione montagnosa unica al mondo, adesso essa è molto più piccola di quella del periodo greco. Qui il paesaggio è di una bellezza incomparabile , l’aria è fresca per l’altitudine. Vi sono antichi villaggi sotterranei a diversi piani, dove gli abitanti piccoli di statura, si rifugiavano in caso di incursioni nemiche, le volte degli ambienti sono basse e la aerazione è simile a quella dei formicai. Lungo le strade vi erano mercati di prodotti locali, tappeti, stuoie, tessuti a mano. Ho comprato un bel tappeto di lana dai bei colori vivaci con predominanza di tonalità rosse , con cui ho ricoperto una cassapanca. Si incontravano anche cammelli e bambini dagli occhi scuri e furbi che chiedevano monete o caramelle, a quell’epoca sicuramente vi era in questa parte della Turchia molto analfabetismo e povertà. Giungiamo nella vasta area archeologica di Pummacale piena di antiche rovine, quindi alle cascate con le sue bianche vasche e poi nella valle dei camini delle fate ,un luogo unico al mondo, sul terreno tante rocce tufacee scavate ed abitati da anacoreti e da indigeni ora datesi al commercio turistico. Le rocce tufacee sono per lo più a forma di cono e sono facilmente scavabili, ai piani superiori si accedeva con scale di legno esterne, l’interno è molto confortevole. Queste formazioni sono l’effetto dell’eruzione di materiale tufaceo di un antico vulcano. Mai visto nulla di simile.

Tuesday, January 16, 2007

Viaggio a Koalalumpu e a Bali dopo l’undici settembre

Subito dopo l’undici settembre mi sono recata a Kuala Lumpu e a Bali.
La prima è la capitale della Malesia, una città metropolitana ultramoderna con grattacieli, piena di centri commerciali e due torri, ora le più alte del mondo.
Il suo aeroporto è stupendo, mai visto in Europa uno così, con eleganti negozi ed affollatissimo di uomini di affari in transito.
La gente ,per le strade, corre sempre indaffarata, non vi è nessuna differenza con la vita delle nostre grandi città.
Le donne studiano, lavorano, occupano anche posti di responsabilità, vestono all’europea, alcune portano in testa eleganti foulars di seta.
Ma le bambine vanno a scuola con una divisa simile a quella delle monache, retaggio della cultura islamica.
In Malesia, infatti, la maggioranza della popolazione è musulmana.
Nei confronti di noi europei sembrano nutrire dell’astio, ci considerano dei prepotenti, anche se trattati con educazione, ci sentiamo mal tollerati.
Ma che ne è della terra di Sandokan?
Sembra che nulla sia rimasto.
Al posto delle belle foreste tropicali con i suoi rumori e con i canti degli uccelli, vi sono tanto cemento e tane industrie soprattutto di stagno.
Nelle immediate vicinanza della capitale vi è una rara piantagione di caucciù ormai soppiantato dalla gomma.
Un amico mi dice che la foresta è ormai solo nelle isole del Borneo, dove egli si reca più volte l’anno per diversi mesi al fine di studiarne la flora e la fauna, ma io non ho la possibilità di recarmi in questi luoghi.
Il cielo è bigio a causa dei fumi delle industrie.
Ci dirigiamo verso il fantastico Stretto di Malacca descritto in tanti romanzi e che tanto mi ha fatto sognare. Che delusione !
Il suo mare è quasi marrone, a causa degli scarichi. La città ha, però, un fascino particolare con i suoi edifici coloniali portoghesi, olandesi, il rosso quartiere cinese brulicante di negozi e templi buddisti, ed i tanti risciò che girano per le vie.
Si respira un’aria particolare, quella di un’antica città con un grande porto commerciale dove sono approdati tanti popoli che hanno lasciato l’impronta della propria cultura.
I suoi abitanti hanno una inusuale larghezza di veduta data dalla convivenza di tante etnie e grande tolleranza nei confronti degli stranieri, che non considerano tali ,perché essi stessi si sentono cittadini del mondo.
Mi ricordo di una figura particolare,un cinese alto e slanciato, vestito con gli abiti suoi tradizionali e con un ombrellino colorato, che camminava con disinvoltura per le strade del centro..
Lasciata la Malesia, volo verso Bali, piccola isola vulcanica dell’arcipelago di Sonda in Indonesia, separata dall’isola di Giava da uno stretto.
E’ verdeggiante, terrazzata, in parte pianeggiante, in parte collinare e montuosa, numerose le risaie
Il suo clima è monsonico, caldo, umido.
Vive soprattutto di agricoltura e turismo.
Appena atterrata ho l’impressione di essere ben accolta da questa terra ridente.
Sono arrivata in un’altra realtà .
Non più persone indifferenti, presi dal loro affannoso correre della vita quotidiana o gente piena di astio.
La civiltà industriale è ben lontana.
I volti sono tranquilli,non è raro vedere lungo le strade uomini appollaiati come gli uccelli che si godono la natura. Non più vestiti firmati, ma persone umili ed anche poco istruiti, siamo in una isola i cui abitanti, nonostante il business del turismo, vivono come un tempo e conservano gli antichi valori, le tradizioni e la cultura loro propria; non sono stati ancora, si fa per dire, civilizzati. .
Grossi ed eleganti complessi alberghieri sono sparsi nelle adiacenze delle bellissime spiagge.
Centinaia di candele nei ristoranti illuminano la sera chilometri di spiaggia
L’albergo, dove ho alloggiato, un 5 stelle, è posto sulla spiaggia, è dotato di una bella piscina, circondata da un giardino fiorito con alberi secolari , su cui saltellano donnole incuranti della presenza degli uomini.
I topi circolano indisturbati nei corridoi, nei cornicioni delle sale di aspetto del centro benessere, ma non nelle sale da pranzo e nelle camere: sono ben educati.
I Balinesi sono per lo più induisti e rispettano la natura e gli animali.
Sono piccoli di statura e dotati di un innato senso artistico.
Nell’isola è possibile assistere a spettacoli teatrali con attori in maschera, che rappresentano l’eterna lotta del bene e del male, come pure a danze di donne con costumi tradizionali.
Camminando vedi centinaia di sculture in legno, opera di artisti locali.
Ma il batik, venduto in tante botteghe, non è per lo più opera degli artigiani del luogo, ma importato dall’isola di Giava.
Se in una bancarella chiedi il prezzo della merce esposta e lo contratti, devi comprarla se non vuoi offendere il venditore.
Le donne sono esperte nella composizione di cesti di fiori e frutta, che, in occasione delle feste sacre, offrono nel tempio alle divinità .
I balinesi sono superstiziosi, fanno offerte per ingraziarsi le divinità del bene e del male, le prime,credono, dimoranti in montagna, le seconde in fondo al mare.
Le offerte migliori sono riservate a quelle del bene, ma quelle del male non vanno dimenticate per non attirarne le ire.
Almeno una volta nella loro vita si recano in pellegrinaggio alla montagna, come pure portano le offerte al mare con il sacerdote officiante agli dei degli inferi.
Vi sono centinaia di templi sull’isola, costruiti con pietra vulcanica.
Ve ne è uno circondato dalle acque del mare: in questo luogo i tramonti sono indimenticabili.
Venerano anche gli antenati.
In ogni casa vi è un altare ed un cortile centrale, su cui danno tutte le camere.
In quest’ultimo si svolge la maggior parte della vita domestica.
Peter, la guida, riferisce che sua moglie, per pigrizia, non sempre fà le dovute offerte , attirando sulla famiglia innumerevoli guai, ma egli pensa di riparare a ciò costruendo nella loro casa un altare più bello.
Le abitazioni sono molto modeste anche quelle dei notabili.
E’ gente pacifica che abiura la guerra e la violenza in genere. E’ ospitale e pronta sempre ad aiutare il prossimo con generosità
E’ una società ancora patriarcale.
Le donne, come gli uomini, possono tenere scoperto il busto, ma devono aver ben coperto la metà inferiore del corpo in quanto ritenuta impura.
Prima di entrare in un tempio devono purificarsi facendo le abluzioni nelle apposite vasche.
La nostra guida parla delle scimmie come se fossero delle persone e dice che il benessere, e il guadagno facile portano sia gli uomini che le scimmie alla disonestà.
Le scimmie, che abitano nei pressi del tempio,si sono abituate a chiedere il cibo ai turisti, hanno perso l’abitudine di procacciarlo nella foresta.
In caso di diniego lo rubano o, per dispetto, sottraggono ai malcapitati borse o macchine fotografiche.
Lasciata l’isola per far rientro a casa ,conservo nel mio cuore il ricordo della semplicità, della bontà, gentilezza, saggezza e generosità di questo popolo per tanti versi più civile del nostro, il cui cuore, talvolta, sembra essere diventato di pietra.